Undicimilanovecentottantaquattro. Orwell diecimila anni dopo.

Quello che stai per vedere, o quello che hai appena visto, non è uno spettacolo “su” Orwell.
Impossibile fare spettacoli, spettacoli degni di questo nome, “su” qualcosa, è ridicolo.
Uno spettacolo teatrale o “è” qualcosa oppure non è nulla, è rimescolamento della realtà, cronaca, telegiornale travestito da teatro.
Non mi piace il realismo teatrale che mi circonda, non mi piace il falso, furbesco “coinvolgimento del pubblico”, mi annoia il politicamente corretto, l’impegno sociale a teatro, mi repelle il buonismo.
Il teatro, per me, è un luogo di fantasmi, di libertà, di creazione assoluta.
Rispetto il mio pubblico. Per me coinvolgerlo significa metterlo di fronte a un sogno, a una visione. Confido nel fatto che chi guarda veda insieme a me, ma veda ciò che vuole, non ciò che io gli indico con il dito puntato o spiegando tutto come in una lezione di fitness su youtube.
Non c’è motivo di essere buoni, oggi. Non c’è motivo per cercare di consolarsi. Lo dice anche Winston, il protagonista del romanzo. “Odio la purezza. Odio la bontà. Vorrei che tutti fossero corrotti fin nel midollo delle ossa”. Eppure lui, Winston Smith, è l’eroe positivo nel quale ci identifichiamo quando leggiamo Orwell.
11984 è, come tutti i miei spettacoli, un lavoro che scruta nell’indicibile, in ciò che non si può dire, non si riesce a dire.
I nostri tempi cupi dimenticano le parole di Rumi, poeta persiano, scritte ottocento anni fa: la cura del dolore è nel dolore.
Oggi che la profezia di Orwell è stata superata dalla realtà, oggi cerco l’amore nelle sue pagine. Trovo Winston e Julia, ma trovo anche una voce - una mia voce teatrale - che incarna l’oggi, una voce che rifiuta sistematicamente il dolore, e con esso la gioia.
Per trovare questo amore mi affido all’ipnosi orwelliana, dunque alla mia fascinazione per tutto ciò che è antiteatrale, alla letteratura in scena. Insieme alla follia contemporanea, alla quale spalanco le porte. Cerco di immaginare come parlerebbero Winston e Julia, oggi, nell’11984. Con mio grande divertimento, con dolore, e dunque con gioia. Grazie. (Maurizio Cardillo)


Undicimilanovecentottantaquattro
Orwell diecimila anni dopo

drammaturgia e regia di Maurizio Cardillo
in scena Maurizio Cardillo, Alessio Sordillo
e il sound acting di Francesco Brini ai sintetizzatori, nastri magnetici, echi e reverberi

produzione Tra un atto e l’altro
in collaborazione con Ater Fondazione/Teatro Comunale Laura Betti, Casalecchio di Reno (BO)
si ringrazia il Teatro dell’Argine
grazie a Oscar De Summa (la voce del sogno)
grazie a Filippo Pagotto e Mario Giorgi
foto di scena Nadia Malverti
luci Carlo Corticelli
musiche originali Francesco Brini

original soundtrack