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Il sadico del villaggio, Massimo Marino, "Doppiozero", 6 dicembre 2019

Il sadico del villaggio, Michele Montanari, "Stati Generali", 27 novembre 2019

Il sadico del villaggio, Gilberto Scuderi, "Gazzetta di Mantova", 10 settembre 2019

Lettera a mio padre, Mariacristina Maggi, "Gazzetta di Parma", 14 ottobre 2016
 
La deriva, Giuseppe Liotta, "Hystrio", 1, 2014

Il male oscuro, Massimo Marino, "Corriere di Bologna - Controscene blog", 18 dicembre 2011

Cardillo fa parte della generazione degli attori over 40: ha recitato in compagnia, ma più spesso ha scelto la strada erta del solista interprete di testi letterari. Per lui il teatro è un fantasma, una convenzione forse insopportabile, che la letteratura permette di mettere a nudo. Ha ridotto il lungo romanzo che racconta la malattia dell’autore, Berto, in due spettacoli, Il padre, La moglie ragazzetta e altri amori. Ho visto solo il primo, per questo non ne scrivo in modo più articolato. Lo spettacolo è una lotta dell’autore, trasposto nell’interprete che lo rivive in sé, contro il fantasma incombente del padre. È come Amleto che si rifiutasse decisamente di compiere la vendetta e diventasse campo di battaglia di sensi di colpa e voci che lo mandano nella paura di muoversi, di agire, di stare in mazzo agli altri. Nel panico e nella depressione, diremmo anche oggi.
Uno specchio in terra, nella scena abbastanza buia, spesso sdoppia l’attore. La malattia, una voce altra che pulsa nel cervello, una luce (o una visione interiore che acceca) e dalla quale bisogna mascherarsi con occhiali neri, non è però solo ansia e disperazione. Diventa anche ironia, ritratto dei tempi, i primi “favolosi” anni ’60. L’attore invece che interprete diventa medium, orchestra di spiriti contrastanti, fino a un finale vero e proprio sdoppiamento, un pezzo di bravura e anche di più, di intensità psichica, di materializzazione dei fantasmi e liberazione da essi. Il teatro ritorna esperienza, strumento di analisi e di catarsi, raggiunta attraverso una lotta fisica che rende tangibile il fantasma allo spettatore nella presenza dell’attore. È forse quello che abbiamo chiamato, in modi generici e dai molti significati, “teatro necessario”?
 
Il ritorno al deserto, Ugo Ronfani, "Il Giorno", 15 novembre 2007

Scritto da Koltès un anno prima di morire, il testo è un feuilleton scenico su una famiglia della borghesia francese dilaniata da scontri umani e lotte per l'eredità al tempo della guerra d'Algeria. Mathilde (la Mazza, ribelle e fremente) rientra dall'Algeria nella casa d'origine e reclama i suoi diritti ereditari dal fratello Adrien (il Cardillo, ottimo nei rovelli nevrotici). 
 
Il ritorno al deserto, Katia Ippaso, "Liberazione", 15 novembre 2007

La saga della famiglia Serpenoise si scioglie su un piano di geometrie umoristiche, e fatali, che solo un regista incendiario come Adriatico, in transfert con la scrittura di Koltès, poteva trovare, con l'aiuto dei suoi intensi attori (tra tutti i protagonisti Francesca Mazza e Maurizio Cardillo). 

Il ritorno al deserto, Massimo Marino, "Hystrio", luglio-settembre 2007

Sugli attori svetta Maurizio Cardillo, un Adrien dai mille volti, capace di passare dalla perfidia allo stupore, dal disgusto all'insofferenza, dalla pungente alla smarrita comicità. Degna antagonista è una Francesca Mazza opportunamente tirata su corde nevrotiche. Nel bel cast spiccano ancora l'alcolizzata moglie beghina di Angela Malfitano, che si duplica anche nella sorella morta, e il figlio richiuso al mondo, vera vittima sacrificale, di Andrea Fugaro. In uno spettacolo duro e affascinante. 
 
A spasso, Nicola Zuccherini, "Lo spettatore", 29 giugno 2007

Con i soli mezzi del teatro. Maurizio Cardillo, affiancato sulla scena da Filippo Pagotto, accompagna il suo pubblico in un'esilarante e malinconica camminata. I due attori, l'uno piccolo, pieno di energia compressa pronta a scoppiare, lungo e beffardo l'altro, vestiti esattamente alla stessa antiquata maniera, si dividono il ruolo del narratore di un racconto di Robert Walser: La passeggiata, titolo che qui diventa A spasso. Sono due figure che giocano sul filo dell'identità e della differenza, inseguendosi sopra e accanto le sei file di cubi di legno che fanno da pavimento all'azione. È un lento vorticare su e giù da queste scatole, scoperchiabili per trarne le parrucche, gli abiti e gli oggetti necessari alla rappresentazione delle varie tappe della passeggiata. Il raddoppiato protagonista - uno scrittore - attraversa eventi banali e impegni di minima quotidianità, li osserva con animo profondamente partecipe e li descrive in toni aulici. È la passeggiata come fascinazione del quotidiano e come atto eversivo: allungare il cammino senza scopo, attardarsi in conversazioni amene e inutili, perdersi nella contemplazione della vita di ogni giorno. Così Maurizio Cardillo celebra i fasti dell'anacronismo, sulla scorta di uno scrittore come Walser, dotato di una grande forza attrattiva nei confronti di un teatro che lo sente affine nel suo essere "fuori squadra" rispetto al tempo presente. C'è una feroce autoironia, però, in questo A spasso. Perché vi abita anche il dubbio che quel ritrarsi dalla bruttura del moderno non sia un atto davvero rivoluzionario, ma una semplice fuga appena mascherata di patetica dignità. Tutta da godere è la recitazione, in particolare la mimica facciale distorta, fissata in smorfie tenute per lunghe pause.
 
Il ritorno al deserto, Franco Quadri, "La Repubblica", 10 aprile 2007 

A volte qualche confidenza può non arrivare allo spettatore, ma più spesso è come se Koltès stesso ti parlasse, e questo può bastare a scomodare anche chi viene da lontano; e non solo lui ti parla, ma lo fa col senso di chi sa cosa sta lasciando dietro di sé, data la morte che l'aspetta: pezzi di teatro da sottolineare, frammenti di verità, vuoto della vita, brillii di illusioni sotterranee. Grazie a Francesca Mazza, e a Maurizio Cardillo e Angela Malfitano, tra i molti artefici della bella serata. 

Il ritorno al deserto, Lorenzo Donati, "Radio Città del Capo", 1° aprile 2007

Per arrivare alla messinscena di Andrea Adriatico, il regista lavora su una doppia articolazione: da una parte assistiamo a una recitazione corale, supportata da una magnifica prova d'attori, soprattutto dei due protagonisti, Maurizio Cardillo e Francesca Mazza. A questa zona dialogata corrisponde una messinscena naturalistica, quasi una radiografia di interno borghese: la scenografia disegna una metonimica costruzione che ricorda i muri interni, e il pubblico osserva in posizione sopraelevata quasi come se si stesse assistendo a una moderna - o una odierna - esecuzione di una pena capitale, magari negli Stati Uniti.
 
A spasso, Massimo Marino, "Hystrio", 2, 2006

(...) Cardillo, insieme a Filippo Pagotto, con sulfurea semplicità mette in scena un viaggio mentale popolato di figurette comuni che, come in ogni vagabondaggio romantico e post-romantico, si tingono di presagi di smarrimento, di oppressione, di morte (...) Si inerpicano i due imperturbabili e ottimi interpreti su cubi di legno di diverse dimensioni, li scoperchiano per ricavarne oggetti e parrucche con cui dare fattezze e voce ai personaggi incontrati nell'andare, senza celare che sono "uno solo" scisso in due, in molti. 
 
Il giudice, Claudio Cumani, "il Resto del Carlino", 17 aprile 1992
 
Blendung, Stefania Chinzari, "L'Unità", 19 marzo 1990

Vicini di sonno, Beatrice Spagnoli, "il Resto del Carlino", 7 aprile 1989